Con grande entusiasmo il direttore de La Stampa Calabresi annuncia che il suo giornale da oggi è fuori dal recinto tradizionale della carta stampata. Grazie ad un supporto, che assomiglia molto ad un tutoraggio di Google il quotidiano torinese comincia a distribuire informazioni e pacchetti di approfondimenti direttamente su telefonino, scomponendo ogni forma di impaginazione. […]
Con grande entusiasmo il direttore de La Stampa Calabresi annuncia che il suo giornale da oggi è fuori dal recinto tradizionale della carta stampata. Grazie ad un supporto, che assomiglia molto ad un tutoraggio di Google il quotidiano torinese comincia a distribuire informazioni e pacchetti di approfondimenti direttamente su telefonino, scomponendo ogni forma di impaginazione.
La singola notizia o il singolo servizio sarà acquisibile direttamente on demand, senza dover attraversare il recinto della pagina tradizionale. Indubbiamente una svolta, ma in quale direzione?
Certo che con questa mossa che vede un gruppo di testate europee e americane (fra queste il New York Times, il Washington Post, El pais, il Guardian) cambia il paradigma dei giornali che abbiamo conosciuto. Potremmo dire, dando profondità al ragionamento, che si chiude la parentesi di Guttemberg, che aveva fissato nel recinto di una pagina il format in cui si esprimeva, elaborava e trasmetteva il pensiero.
Ora questo limite è sbriciolato e ridotto ad un unico flusso, uno streaming in cui le notizie vengono allineate e combinate in base ad un mix di gerarchia cronologica e di profilo del singolo utente ma chi organizza questo flusso? Chi impagina gli impaginatori?
La domanda viene esorcizzata dall’entusiasmo di Calabresi. Non a caso alcuni dei giornali che insieme alla stampa hanno avviato il processo di canalizzazione delle proprie pagine con Google sono gli stessi che hanno stretto un’intesa commerciale con Facebook per distribuire le notizie nella platea del social network con il loro corredo pubblicitario.
I giornali ci guadagnano un costo contatto più redditizio potendo rendere visibili i messaggi promozionali ad un pubblico di un miliardo e mezzo di utenti potenziali. Ma in cambio rischiano di perdere completamente l’identità editoriale. Come dicevamo chi impagina gli impaginatori? Chi organizza la gerarchia e le combinazioni che l’impaginazione di un giornale esprime e concentra dando valore aggiunto ad un taglio editoriale rispetto ad un altro? Tutto è affidato, di fatto, agli algoritmi profilanti di Facebook e Google che da oggi sono i veri editori del globo.
Il rischio è quello di trasformare l’opinione pubblica, che si è formato sulla condizione di una stessa edizione, di uno stesso giornale, della stessa pagina che veniva letta e discussa, in una moltitudine pulviscolare di lettori unici di un unico flusso di informazioni. Con in più che ad ognuno verrà riservato il flusso più affine al proprio profilo, alla propria sensibilità, al proprio gusto: ognuno leggerà quello che sà.
Insieme alla svalutazione del valore aggiunto della professione giornalistica, il dato che a me pare più preoccupante riguarda l’intera comunità nazionale che vede affidare le proprie memorie e i propri sistemi di automatizzazione cognitiva a sistemi algoritmici, e dunque a visioni del mondo, esterne ed estranee.
Siamo oltre il conflitto d’interesse. Siamo in quello che Dave Eggers nel suo libro apocalittico sul potere manipolatorio del social network il Cerchio descrive come “la sostituzione della rete, di quella rete, allo stato democratico“.
Non è l’innovazione che ci spinge in quel cerchio, è la mancanza di una cultura politica che filtri ogni processo innovativo attraverso il conflitto sociale e la negoziazione politica, come nel secolo scorso avvenne con il potere della macchinizzazione della produzione, del fordismo. Era una minaccia divenne una straordinaria civiltà progressista.
Michele Mezza
Direttore Scientifico di Pollicina Academy. Consulente e docente multimediale presso l’Università Federico II di Napoli. Giornalista RAI in pensione.
Consulta tutte le analisi di Michele Mezza

Non ci sono ancora pareri