Chi sta decidendo le elezioni americane? Un ceto medio frustrato? Un’incerta ripresa economica? Il disagio di regioni investite dall’immigrazione clandestina? La delusione per una presidenza Obama incompleta? Tutto questo sicuramente incide, ma il vero mattatore è concretamente l’algoritmo. Siamo di fronte alle prime consultazioni di massa basate sulla potenza del big data. Il cosiddetto populismo […]
Chi sta decidendo le elezioni americane? Un ceto medio frustrato? Un’incerta ripresa economica? Il disagio di regioni investite dall’immigrazione clandestina? La delusione per una presidenza Obama incompleta?
Tutto questo sicuramente incide, ma il vero mattatore è concretamente l’algoritmo. Siamo di fronte alle prime consultazioni di massa basate sulla potenza del big data. Il cosiddetto populismo di Trump, ma anche il rivendicazionismo di Sanders, e ora persino le tematiche riparatorie della Clinton non sono pensate ed elaborate da think tank politici che si sfidano sulla scacchiera di un’america in cerca d’autore, ma stanno diventando applicazioni di software di marketing.
Il motore di questo immenso mercato del consenso è oggi la “profilazione” di ognuno dei circa 100 milioni di elettori che parteciperanno alle varie fasi di voto. Intanto capire chi voterà, chi nelle sterminate distanze americane avrà la determinazione e la spinta per partecipare al gioco complicatissimo del voto presidenziale. Come capirlo? Con il big data. Trump ha comprato il più ricco e sofisticato data base elettorale americano, che selezione 78 milioni di profili in base a una continua lettura dei loro sentiment. Lungo queste strisce di dati si deduce con un’approssimazione del 92% chi voterà.
Dunque ci si concentra solo su questi. Poi bisogna capire cosa pensano e cosa vogliono sentirsi dire queste elettori. E anche qui il gioco parte dal data base: si stringe la forchetta sui temi locali, si incrociano dati e flussi, si ricavano grafi di contea, e dettagliatamente si scannerizzano le ambizioni e le necessità degli elettori.
Non stiamo parlando di Star Wars, siamo con i piedi ben piantati per terra. Anzi con i piedi che si muovono vorticosamente e vanno a raggiungere buona parte di questi elettori, a bussare alla loro porta o chiamarli sul loro telefono o messanger. La novità è che questa volta prima che si risponda o si apra la porta il volontario di Trump ha già una scheda minuziosa di chi avrà di fronte, sa benissimo cosa fa, come lo fa e con chi lo fa e cosa pensa e desidera. E userà esattamente le sue parole, i suoi aggettivi, le sue metafore, ricavate dal carotaggio delle sue chat, per convincerlo che Trump è esattamente come lui, né più né meno, nel bene e nel male.
È Trump che segna i “like” sul profilo di ogni singolo elettore non vice versa. Hillary invece si affida sull’appoggio diretto dei giganti della rete. Facebook e google sono scesi in campo. Con specifiche unità d’azione stanno finalizzando le loro strisce di dati di ogni elettore, in ogni contea, di ogni Stato per determinare sensibilità, topic matter, argomenti e bersagli che quegli elettori hanno in testa. Il punto è la variabilità e la volubilità degli elettori. Mentre una volta, anche negli Usa, le famiglie politiche erano stabili, oggi siamo agli scambi più arditi. Coppie e figli si intrecciano nelle combinazioni più bizzarre, e sopratutto più repentine.
Per queste bisogna che tutto il lavoro di “profilazione” sia condotto in real time: mentre il candidato parla, mentre l’elettore partecipa all’evento o assiste alla performance, bisogna sapere cosa pensa, come reagisce, cosa vorrebbe farsi dire. Siamo al “sistema Benetton” del voto: just in time. Anche nella democrazia il While, il mentre si pensa, guida il cosa si pensa, come nell’informazione.
Ma tutto questo può rimanere patrimonio di pochi possidenti? Il conflitto d’interesse, che al confronto della pervasività di facebook e google sembra una pratica sociale di Madre Teresa di Calcutta, ci ha pure insegnato che i fenomeni comunicativi vanno colti e governati prima che si espandano e non dopo, quando hanno già ridisegnate le mappe sociali.
Siamo anche noi alla sostituzione dei partiti con i data base? E quanti data base e di chi?
Michele Mezza
Direttore Scientifico di Pollicina Academy. Consulente e docente multimediale presso l’Università Federico II di Napoli. Giornalista RAI in pensione.
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